DISǪUISIZIONI TRA FELTRISMO, FASCISMO E DEMOCRAZIA
Milano, Galleria Vittorio Emanuele II. Le vetrine della libreria Rizzoli ruggiscono un solo titolo: “Fascisti della parola”.
Il piano sotterraneo è stato allestito per la presentazione del diciassettesimo libro di Vittorio Feltri. Le prime sei file riservate agli invitati speciali, i VIP. Le restanti sette file destinate al popolo dei fan, curiosi o, banalmente, privi di invito. Il tutto ben delimitato da corde, paletti e hostess che filtrano l’accesso. Manca solo il cartello “NO trepassing”.
Vittorio Feltri giunge con circa trenta minuti di ritardo, rigidamente accerchiato dalla sua squadra di collaboratori e sostenitori. Per uno spettatore ignaro di fatti e persone, sarebbe stato difficile distinguere se fosse stato scortato per proteggerlo da un’aggressione o evitargli la fuga.
Quelle stesse persone si schierano alla sua destra e sinistra, in un tavolo preposto per la conferenza. Come in un cenacolo.
“Tengo subito a chiarire che Vittorio Feltri non rilascerà alcun autografo, nemmeno per chi ha acquistato il libro oggi. Non sarà disponibile per fotografie né interviste al termine della presentazione. Ha altri impegni cui assolvere”, così stronca subito le aspettative dei presenti Melania Rizzoli, conduttrice dell’evento.
Eppure, gli astanti non sembrano perdere giubilo: si muovono sulle loro sedie come rami d’ulivo al vento, per crearsi visuale tra le teste di chi è seduto innanzi.
“Neg** o dell’altra sponda sono parole che non si possono più dire, perché nascono problemi che alla fine sono solo sciocchezze”, prosegue Rizzoli con la sua introduzione. “Siamo in democrazia ma anche sotto regime”.
Vittorio Feltri, quindi, spiega ai presenti, che stringono la sua parola tra le mani, le ragioni profonde che lo hanno motivato a scrivere: “non avevo proprio voglia di scriverlo questo libro, però non avevo un ca*** da fare, e allora…”. Il popolo ride, applaude.
LA GUERRA DELLA PAROLA
Sentendosi appoggiato, Feltri incalza, specificando che ha sentito il dovere civico di scendere in battaglia:
“La guerra al dizionario è partita da qualche anno e mi sembra l’operazione più stupida che si possa fare. I più accaniti sono gli ignoranti. La stupidità umana è talmente elevata da seguire le mode, carburante del conformismo. Anche il politicamente corretto è una moda stupida. Vogliono toglierci spontaneità, sono dei defi****ti”.
Vorrei poter intervenire e domandare chi sarebbero esattamente questi soldati posti sullo schieramento opposto del fronte di questa guerra. Sarebbero forse i ricercatori che studiano per far emergere cosa causa emarginazione, stigma sociale e isolamento? Coloro che indagano gli effetti cognitivi dell’uso del linguaggio d’odio, e i conseguenti comportamenti discriminatori ai danni di certe categorie sociali?
Insomma, psicolinguisti, psicologi della comunicazione, sociologi, che stanno dimostrando come certe espressioni intendano veicolare significati spregiativi. Sarebbero loro i nemici della spontaneità?
Ma, in questa presentazione democratica, è preclusa la possibilità di porre domande.
L’argomentare di Feltri manifesta tanto la flemma quanto l’ardore di un uomo che vive da molto tempo e ha la sua verità da difendere. Quindi prosegue:
“Fateci parlare come mangiamo” – un po’ ridondante come slogan, ma resto in ascolto – “fateci essere semplici, diretti, autentici! La lingua sta peggiorando. Ora va di moda chiamarli gay, che significa omosessuale ed è un termine medico. Ma è meglio chiamarli fro**, Cri**o! Si capisce meglio!”.
Non mi è chiaro, a questo punto, chi non capisca cosa. Che cosa si capisce meglio con la parola fro*** che invece con il termine omosessuale resta oscuro? Di quale significato, esattamente, sta parlando?
Interviene a chiarire i presupposti delle tesi a favore Alessandro Sallusti. “Non immaginate che Vittorio Feltri scriva fro*** perché vuole offendere gli omosessuali. Lo usa perché è comprensibile. La parola zingaro è chiara, tutti sanno cos’è”.
Ecco il punto. I termini fro***, zingaro o terrone sarebbero più comprensibili, più facili.
IL CUORE DEL FELTRISMO
Sallusti prosegue a difesa della verità di Feltri: “la parola è il cuore del feltrismo. Il suo è rigore nei confronti della parola. La parola semplice non è né intelligente né stupida, né offensiva né non offensiva. Semplicemente, è chiara.”
Chiaro, no? Froc***, finocchio, zingaro, neg**, sarebbero termini semplici da comprendere.
Dovrebbe essere altrettanto semplice comprendere che queste espressioni sono insulti, offese, tentativi di umiliazione. Ma a quanto pare così semplice non lo è. Il feltrismo così inteso non contempla i danni che arreca a chi queste espressioni le subisce. O forse, semplicemente, è ingenuamente incosciente. Non sa che certe espressioni, definite slurs, sono epiteti denigratori, che veicolano un significato spregiativo, diffondono e alimentano pregiudizi e stereotipi. Sono un male sociale. Per questo sono oggetto di valutazione e selezione in una società che vuole aprirsi e includere differenze.
A sciogliere eventuali dubbi residui, ancora una volta, ci pensa Sallusti:
“Nessuno, coinvolto nella parola, si è mai offeso. Nessun gay ci ha querelato. C’è una appropriazione indebita delle parole da parte di gente che non ha titolo per contestare le parole. Si dice ‘attenzione che se al governo c’è la destra non ci sarà più libertà d’espressione’. In verità, a sinistra la querela è fatto quotidiano, in tutti i sensi. Se scrivi sul giornale ‘Rissa nella notte, arrestati tre rumeni’, non ti denuncia il rumeno, ti denuncia la Boldrini”.
Risata, applauso, standing ovation.
La propaganda politica è servita, con annessi elettori. Presentazione conclusa. Tutti a casa, con un libro senza autografo.
In una società democratica tutti i libri hanno egualmente diritto di esistere. Basterebbe non acquistarli per destinarli all’oblio. Ma qualcuno che li compra ci sarà sempre. A ogni ideologia i suoi seguaci.
Certo, i giornali non li legge più nessuno, è noto. Le nuove generazioni si informano altrove.
Non da meno, ascoltando questi giornalisti, qualcuno potrebbe avere la sensazione che ormai si limitino a scrivere, a esporre la loro visione. Che abbiano smesso di leggere il nuovo mondo che sta fiorendo intorno a loro, i giovani, il progresso e le nuove esigenze. Insomma, non legge più nessuno, in realtà. Un giornalismo infeltrito.
Non me ne voglia Feltri. Sono solo parole semplici per esprimere una libera opinione.
Aurora Nina Allegra