di Diletta Culla
Il cinema è da sempre uno degli strumenti privilegiati per raccontare la realtà, sia essa storica o immaginaria, capace di esplorare i risvolti sociali ed emotivi, così come le sue declinazioni surreali, allegoriche e distopiche. Una forma d’arte che si rivela profondamente riflessiva, tanto per chi la crea quanto per chi la fruisce comodamente seduto nelle poltrone di una sala cinematografica. In questa cornice si inserisce il convegno Cinema e politica internazionale nel secolo breve, che si è svolto il 28 e 29 novembre nell’Aula Mazzini di via Balbi 5. L’obiettivo di questo incontro è stato rivisitare come la Storia del Novecento è stata raccontata mediante una delle forme di espressione artistica più popolari, accessibili e universali.
Il convegno è un’iniziativa organizzata dal Dipartimento di Scienze politiche e internazionali (DISPI) dell’Università di Genova, dall’Università “La Sapienza” e dall’Università degli studi LINK di Roma, nell’ambito delle attività della Cattedra “Jean Monnet” Ciak-EU. L’evento ha accolto più di trenta relatori, tra giornalisti, critici cinematografici e docenti degli atenei di Padova, Modena e Reggio Emilia, Torino e Amburgo, ognuno dei quali ha messo il proprio bagaglio di conoscenze al servizio di un lavoro di ricerca e approfondimento dei diversi macrotemi in cui erano articolate le due giornate.
Prima giornata: dal colonialismo alle guerre civili e la ribellione delle masse
Dopo i saluti e i ringraziamenti istituzionali del Preside di Scienze Sociali Luca Beltrametti, della Direttrice di Dipartimento Daniela Preda, del Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Informazione ed Editoria Guido Levi e del docente Filippo Maria Giordano dell’Università Link di Roma, la prima giornata si è aperta con un panel dedicato alle forme di colonialismo e imperialismo che hanno caratterizzato il primo conflitto mondiale. Ferdinand the bull (1938), La Battaglia di Algeri (1966) e Il Leone del Deserto (1980) sono alcune delle opere poste in indagine per offrire una lettura critica delle rappresentazioni cinematografiche contemporanee sul tema e sul loro ruolo nel dibattito storico e politico, tra identità, violenza, istanze di denuncia e allegorie pacifiste.
A seguire, il cinema della Repubblica di Weimar – con opere iconiche come Il gabinetto del dottor Caligari (R. Wiene, 1920), Nosferatu il vampiro (F. W. Murnau, 1922) e Metropolis (F. Lang, 1927) –, il cinema di propaganda bolscevico e le produzioni dei movimenti della Nova Vlna e della Nouvelle Vague – come Le margheritine (V. Chytilová, 1966) e La cinese (J. Godard, 1967) – hanno spostato l’attenzione sulla ribellione delle masse che ha incendiato il secolo breve. La prima giornata si è infine conclusa esplorando la dimensione della memoria: la memoria politica evocata in Argentina, 1985, incentrata sui diritti umani e sulla lotta per la giustizia transizionale in Argentina, ma anche la (des)memoria proiettata dalla e nella poetica del regista spagnolo per eccellenza, Pedro Almodóvar.
Seconda giornata: dalla seconda guerra mondiale alle proteste militanti
Il tema della memoria ha aperto anche la seconda giornata del convegno. Una prima riflessione sul ruolo del cinema nella rappresentazione storica in film come Bastardi senza gloria (Q. Tarantino, 2009) e La zona di interesse (J. Glazer, 2024) ha introdotto il primo panel dedicato alla Seconda guerra mondiale. L’itinerario proposto ha preso avvio dal cinema propagandistico di guerra, attraverso l’analisi del film-manifesto Why We Fight (F. Capra, 1942) e il confronto tra i celebri Combat film prodotti dall’esercito statunitense e le omologhe produzioni italiane dell’Istituto LUCE. Successivamente, si è discusso sul “vuoto” cinematografico che caratterizza la filmografia dedicata al rapporto degli Alleati con la Resistenza italiana e, diversamente, sull’ampia rappresentazione cinematografica della Shoah, così significativa da impattare in modo crescente la memoria collettiva della deportazione nei campi di concentramento.
La fine della Seconda guerra mondiale apre le porte alla Guerra Fredda e con la divisione del mondo in due blocchi il tema dello spionaggio dilaga nel cinema. Lo spy-movie e la figura dell’agente segreto hanno plasmato l’iconografia cinematografica della seconda metà del secolo, protagonista del secondo panel della giornata. La disamina dell’America è continuata con approfondimenti su La storia mai raccontata degli USA (O. Stone, 2012), sull’approccio americano alle rappresentazioni di fatti, personaggi e eventi a metà tra esaltazione e autocritica e sui filoni cinematografici della Guerra del Vietnam, della crisi dei missili di Cuba (Thirteen Days, R. Donaldson, 2000; The Missiles of October, A. Page, 1974) e del pericolo atomico, tra rielaborazione del trauma (Children of Hiroshima, K. Shindo, 1952; The Atomic Café, J. Loader, P. e K. Rafferty, 1982) e protesta ecologista militante.
L’attenzione per un cinema che tratta tematiche legate all’ecologia, con particolare enfasi sul concetto di Antropocene, ha aperto anche l’utilmo panel, dedicato alle organizzazioni internazionali viste dal cinema. A seguire, si è riflettuto sulle potenzialità di strumenti comunicativi come il monologo e il discorso politico nel rendere i film mezzi narrativi dal forte impatto sociale e culturale, con particolare attenzione ai diritti dell’uomo in relazione alle grandi tragedie della storia e alla loro tutela nel sistema internazionale. Infine, l’ultimo intervento si è proposto di individuare ed illustrare alcune differenti modalità con le quali il cinema si è occupato (e si occupa) del processo di unificazione europea e del tema complesso dell’identità dell’Europa “unita nella diversità” (Il banchetto dei contrabbandieri del 1951, H. Storck, 1951; Niente da dichiarare?, D. Boon, 2010; Western, M. Poirieer, 1997).
Costruire l’identità europea
A chiudere il convegno, la lectio magistralis da remoto della docente dell’Università di Amburgo Anne Bruch Fare pubblicità per l’Europa. Film informativi per l’integrazione europea negli anni ‘50 e ‘60. L’intervento ha illustrato i risultati del progetto di ricerca diretto dalla prof.ssa Gabriele Clemens presso l’Università di Amburgo “Werben für Europa. Die mediale Konstruktion europäischer Identitat durch Europafilme im Rahmen europäischer Öffentlichkeitsarbeit”, che ha raccolto circa 350 film nella Advertising Europe Film Collection conservata dal 2019 presso gli Archivi Storici dell’Unione Europea a Firenze. Al centro del progetto ci sono film informativi commissionati da varie istituzioni sovranazionali – come l’Unione Europea Occidentale, il Consiglio d’Europa, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, l’Euratom o la CEE –, nonché dai dipartimenti nazionali di stampa e informazione di Francia, Germania Ovest e Italia, precedentemente ignorati dagli storici e dagli studiosi di cinema ma che rappresentano, oggi più che mai, una fonte preziosa per studiare le strategie utilizzate per costruire un’identità europea e comunicare il significato dell’intero progetto.