di Mariangela De Marco.
È possibile insegnare la storia attraverso il cinema? Quanto il cinema è di aiuto allo storico per comprendere il passato? Sono alcune delle domande a cui Guido Levi e Luca Malavasi hanno risposto durante un’intervista che può essere ascoltata integralmente sul podcast di InfoEdMag a questo link .

«Il cinema non soltanto racconta la storia, ma è anche fonte di storia» ci ricorda Levi, che nel corso di Laurea Magistrale in Informazione ed Editoria insegna Storia delle relazioni internazionali per i media.
E Malavasi, docente di Cinema e cultura visuale per il corso di Letterature Moderne e Spettacolo, sottolinea come «Questi strumenti, tutt’altro che oggettivi, il cinema e la televisione, vengono impiegati nei processi di rappresentazione» e aggiunge «l’importante è problematizzare sempre il ruolo del punto di vista, quindi il ruolo della destinazione d’uso e ricordare che anche quel tipo di racconto per immagini, che si confronta con la realtà immediata, è sempre un racconto mediato da un punto di vista».
Ma quale è stato in passato il rapporto tra cinema e storia?
L’arte cinematografica, quasi a ripercorrere il ruolo un tempo affidato alla pittura, è stato ampliamente scelto, in alcuni periodi, come mezzo per veicolare l’istruzione delle masse e far circolare nuove idee.
In determinati periodi del Novecento, in particolare tra la prima e la seconda guerra mondiale, il cinema è stato usato per la propaganda politica affinché si mostrasse la storia che si voleva fosse conosciuta: ricostruendo un passato idealizzato o mostrando quella parte di presente che si voleva portare all’attenzione delle masse.
Prima del cinema: la fotografia
Prima ancora del cinema è stata la fotografia a raccontare la storia, basti ricordare il fotografo Carol Szathmari che documentò la guerra di Crimea nel 1853 e i fotografi Roger Fenton e poi Mathew Brady che documentarono la guerra civile americana (1861-1865).
Ovviamente i primi scatti fotografici non avevano il realismo di quelli dei nostri giorni, ma la fotografia, anche se nata da poco (1839: con Daguerre in Francia e con Talbot in Gran Bretagna), fu subito oggetto di studio per la sua capacità di immortalare l’attimo presente. Il fotografo Edweard Muybridge fu il primo ad accorgersi che le foto potevano ricreare il movimento, egli dedicò moltissimi studi a questo, in particolar modo focalizzandosi sull’osservazione del movimento sia animale che umano. Il suo esperimento del 1877 sul cavallo Occident divenne celebre e le fotografie ottenute furono pubblicate su periodici americani ed europei.

Accanto alla pista su cui correva il cavallo, Muybridge dispose dodici macchine fotografiche, ciascuna munita di un otturatore che funzionava a una velocità, a sua detta «inferiore al duemillesimo di secondo». Sulla pista furono tesi dei fili metallici collegati a interruttori elettrici; il cavallo, nella sua corsa, andava contro i fili e li rompeva, uno dopo l’altro; un’elettrocalamita faceva scattare gli otturatori e così si otteneva una serie di negativi.
Catturare il movimento, fermare l’attimo e poi riprodurlo
Da Muybridge ai fratelli Lumière, che il 28 dicembre 1895 fecero la loro prima proiezione pubblica a pagamento a Parigi, passando per Émile Reynaud con il prassinoscopio prima e poi il teatro ottico nel 1892, l’immagine in movimento segna la storia e permette a questa di essere raccontata in maniera assolutamente nuova.
La narrazione proposta dal cinema diventa un efficace strumento per veicolare i messaggi proprio attraverso le proposte di film che raccontano il passato. Si sceglie cosa raccontare e le diverse epoche, in diversi luoghi del pianeta, vedono la produzione cinematografica soddisfare le richieste governative in base a quale parte di storia del passato si vuole far conoscere.
Il potere delle immagini al servizio del potere
Come ha più volte ricordato Jan Assman, egittologo tedesco e storico delle idee di fama internazionale,
«l’identità si forma sul ricordo, specificamente sulla memoria culturale accumulata nel tempo attraverso il succedersi delle generazioni,
ma anche “prodotta de facto nel processo della pratica culturale”.
Quando un gruppo si pone il problema “di cosa non bisogna dimenticare” si crea una comunità della memoria che si definisce,
si forma e si consolida sul ricordo.»
L’esperienza che si vive guardando un film, a seconda di come è eseguito il montaggio, ma ancor più da come sono effettuate le riprese (il close up con il volto che occupa tutto lo schermo oppure l’arc shot in cui la cinepresa circonda il soggetto) permette allo spettatore di entrare nella narrazione proposta e vivere attraverso i personaggi quelle stesse emozioni che diventano poi il ricordo dell’evento narrato. Le immagini cinematografiche non sono, quindi, semplicemente guardate, poiché esse sono dotate, come ricorda Malavasi, di «un potere offensivo di conquista e, insieme, di un potere difensivo di esaltazione ideologica». Non a caso quando nel 1937 fu inaugurato a Roma la nuova sede dell’Istituto LUCE, una grande scritta campeggiava sotto l’apparato scenografico dove appariva una gigantografia di Mussolini dietro a una macchina da presa: la cinematografia è l’arma più forte.

La censura
Le produzioni cinematografiche, come gli spettacoli teatrali, furono fin dagli esordi sotto il controllo della censura, che nel regno d’Italia era rappresentata inizialmente dalle Prefetture locali e a partire dal 1913 dall’Ufficio Centrale di Revisione. Con la nascita della Repubblica Italiana la censura sugli spettacoli pubblici, e quindi anche sul cinema, continuò nonostante l’art. 21 della Costituzione Italiana consentisse la libertà di stampa e di tutte le forme di espressione con il solo divieto di ciò che era contrario al buon costume. È solo a partire dal 5 aprile 2021 che in Italia viene abolita la censura cinematografica, istituendo al suo posto una Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura con il compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori. Ma come ci ricordava Francesco Rosi «la censura più forte la si esercita attraverso il danaro, attraverso i finanziamenti». Quelli non concessi, quelli che bloccano le riprese, che impediscono di pagare attori e staff.
Nell‘intervista a Levi e Malavasi si è parlato anche di autocensura preventiva e di quanto il cinema abbia voglia di rischiare su certi temi.
Il cinema al servizio degli storici
Se da parte del cinema c’è sempre stato un forte interesse verso la storia e le modalità per poterla rappresentare attraverso la narrazione visiva, è solo verso la fine del XX secolo che il cinema è diventato per gli storici una fonte per ricostruire non solo gli avvenimenti del passato, ma anche per meglio comprendere le dinamiche di un determinato periodo. Lo studio delle pellicole cinematografiche ha permesso di comprendere come quegli avvenimenti del passato sono stati mostrati al grande pubblico nei vari periodi del Novecento, in Italia, come anche nel resto del mondo.
«Chi ignora la propria storia è preda facile, inconsapevole e contenta, di quella manipolazione
che il potere intende perseguire con la sua politica culturale» ricordava Cecilia Mangini anni fa durante un’intervista.
Proprio lei che insieme a Lino Del Fra e Lino Miccichè realizzò nel 1962 il documentario All’arme siam fascisti montando insieme materiale originale d’archivio proveniente soprattutto dalla Francia e dalla Germania, poiché «il materiale di repertorio fascista di cui l’Istituto LUCE aveva il monopolio era sottoposto a blocco e non poteva essere utilizzato. […] Allora come oggi gli apparati che detengono il potere sugli archivi hanno la possibilità concreta di intervenire sul passato, di modificarlo, di nasconderlo.»
Nessuna immagine ci è indifferente. Ogni immagine scolpisce la nostra immaginazione o ricordo e se le immagini mancano allora occorre crearle. Il cinema, più della fotografia, permette attraverso le immagini in movimento di portare nella nostra mente un nuovo ricordo, una nuova, a volte, inventata memoria del passato.
Negli ultimi decenni il regista e lo storico hanno cominciato a dialogare come mai accaduto prima e sempre più film di carattere storico hanno fatto la loro apparizione. A volte il cinema parte da una storia vera raccontata in un libro o un diario per poi lasciare spazio alla creatività del regista, altre volte la ricerca storica si fa minuziosa con i particolari che appaiono nella ricostruzione degli ambienti, dei costumi, dei cibi, rendendo l’esperienza di andare al cinema un modo per permettere allo spettatore di entrare nel vivo della storia, quasi intraprendendo un viaggio nel tempo. Poiché se i costumi, le ideologie, i pensieri cambiano, le emozioni umane restano le stesse ed è sulle emozioni che il cinema gioca il ruolo da maestro.
Imparare la storia attraverso il cinema
Tra le varie tipologie di film si spazia dal film storico alla fiction, dal documentario al mockumentary e ognuno di questi generi racconta a suo modo la storia di quando sono stati realizzati poiché diventano, a distanza di anni, essi stessi preziosa fonte per lo storico.
Ma come viene trasportato sulla pellicola il passato che noi impariamo dai libri di storia? E qual è il confine che separa il fatto storico dalla libertà creativa del regista? A scuola si può imparare la storia dai film? Queste domande ci costringono a riflettere sul rapporto tra storia e immagine, tra realtà e immagine.
Secondo Mitchell le immagini hanno sempre fatto parte della nostra esistenza: non si può andare oltre o immaginare un mondo senza di esse.
Le immagini sono “creature” concrete e astratte allo stesso tempo; sono sia un oggetto individuale sia una forma simbolica.
Comprendere l’immagine significa riuscire ad avere una visione comprensiva e globale della situazione che essa mostra,
ma soprattutto avere un’istantanea di uno specifico momento storico. L’immagine ha un forte potere sociale.
Film proposti al cinema negli ultimi mesi
Numerosi sono stati i film di interessante valore storico proposti nei cinema italiani negli ultimi mesi, tra cui:
– La zona d’interesse di Jonathan Glazer,
– Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre,
– Il maestro che promise il mare di Patricia Font,
– Le déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta di Gianluca Jodice,
– Comandante di Edoardo De Angelis,
– Diamanti di Ferzan Özpetek,
– Io sono ancora qui di Walter Salles
– L’abbaglio di Roberto Andò
– Maria di Pablo Larrain,
– A complete unknown di James Mangold,
Conclusioni: storia e cinema sempre più uniti
La creatività dei registi è immensa ed una stessa storia può essere mostrata con modalità diverse, accentuando un aspetto emotivo piuttosto che un altro. Per suscitare nello spettatore un dato sentimento, la narrazione storica, quando ben rappresentata, quando fedele ai fatti accaduti, aggiunge valore alla conoscenza, sempre.
«Trovo scorretto chiedere al cinema» afferma Malavasi «di essere storicamente sempre filologicamente corretto» e aggiunge come «appartenga alla dimensione del regista quella di muoversi rispetto alla storia anche in forma creativa».
Per conoscere la storia utilizzando il cinema è necessario, come evidenzia Levi nell‘intervista «imparare a leggere le immagini, a leggere i film. Contestualizzare i contenuti di un’opera, metterla a confronto con altre opere». E l’invito, come ricordano Levi e Malavasi, è comunque quello di andare al cinema «poiché il cinema fa la storia ed è sempre una bellissima esperienza».
Mariangela De Marco
Ottimo articolo sono d’ accordo che si debba sempre contestualizzare il film nel momento storico in cui è stato girato , un’ altro importante momento è quanto conta la sensibilità del fruitore, mi è capitato di vedere La dolce vita in diversi momenti della mia vita e ne ho colto significati diversi