di Mariangela De Marco.
Attraverso una serie di interviste proviamo a comprendere come funziona l’Università, cosa sta accadendo in concreto e quali saranno i possibili scenari futuri.

Con la legge di bilancio 2025 si confermano i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario destinato agli Atenei per le spese di funzionamento e le spese di personale. 78 Atenei statali su 83 sono interessati da questi tagli, tra cui l’Università di Genova.
Nessun aumento delle tasse universitarie
Intervistato il 20 marzo scorso, dopo la tavola rotonda tenutasi presso l’aula San Salvatore in piazza Sarzana, Fabrizio Benente, prorettore UniGe alla terza missione (divulgazione, comunicazione, coinvolgimento pubblico e impatto sociale) alla domanda su quali saranno le ripercussioni sugli studenti universitari ha rassicurato dicendo che «A settembre nel nostro Ateneo non ci sarà nessun aumento delle tasse universitarie e l’offerta formativa non subirà modifiche».
Ma cosa accadrà all’interno degli Atenei con questi tagli? E perché dallo scorso ottobre, prima ancora che la legge di bilancio 2025 venisse approvata, erano cominciate in vari Atenei italiani proteste da parte di docenti, ricercatori e studenti?
Dottorandi, ricercatori, professori. Chi sono gli intervistati?
Per comprendere i tagli occorre innanzitutto comprendere come sono strutturate le spese di personale all’interno degli Atenei e quali sono le figure che gli studenti si trovano davanti. Ho deciso, quindi, di intervistare alcune di queste figure:
– Martina Molinari, Dottoranda presso il DISPI;
– Luca Daminelli, assegnista di ricerca al DISFOR;
– Elena Boschi, professoressa a contratto presso DISFOR, DISPI e DIME;
– Luca Raffini, professore associato presso il DISPI;
– Andrea Fabrizio Pirni, professore ordinario presso il DISPI.
«L’Italia è notoriamente un paese in cui l’Università è sotto finanziata, quindi viviamo un problema strutturale da anni e anni». Sono queste le parole del prof. Luca Raffini che ci illustra anche quelle che sono le figure professionali all’interno degli Atenei.
«L’impressione che ho» aggiunge «è che spesso le studentesse e gli studenti non conoscano le figure che si trovano davanti. Si sente spesso parlare di assistenti, ma la figura dell’assistente non esiste più da anni. Chi viene definito assistente spesso è un ricercatore, un assegnista o un dottorando. Mentre i professori possono essere docenti strutturati (professori ordinari e professori associati) o professori a contratto».
Professori a contratto nel mondo universitario
Una figura molto variegata nel panorama universitario è rappresentata dai professori a contratto. Quando gli Atenei necessitano di una competenza professionale – è il caso, ad esempio, dei giornalisti per il corso di studio in Informazione ed Editoria – oppure di coprire diverse aree scientifiche si stipulano dei contratti con questi professionisti. Oppure in casi di emergenza, quando mancano professori strutturati per insegnamenti ufficiali.
Elena Boschi è da anni una professoressa a contratto presso diversi dipartimenti dell’Università di Genova e ci spiega quella che è la sua figura professionale.
«Insegno inglese, lingua e cultura, all’Università di Genova dal 2018 come contrattista e insegno in vari dipartimenti, quindi la mia è una situazione abbastanza atipica perché non ho a che fare con un dipartimento unico. Svolgo anche altri lavori e l’Università è una parte della mia vita professionale.
Dalla mia esperienza ho notato che gli studenti sanno molto poco di quella che è la nostra realtà lavorativa.
Essere contrattista significa che ogni anno dobbiamo fare domanda per il nostro lavoro e non sempre il nostro rinnovo è garantito. Non si è mai sicuri se il corso continuerà, se ci sarà ancora. Ovviamente si vince il bando, se il bando c’è. Mi è capitato che alcuni corsi siano spariti da un anno all’altro. Ovviamente poi ne saltano fuori altri, però diciamo che ogni anno bisogna un pò procacciarsi il lavoro in questo modo e i bandi vanno seguiti».
Elena Boschi descrive anche quelle che sono le modalità di pagamento «Noi veniamo pagati una volta all’anno. Per l’anno accademico 2024/25, ad esempio, saremo pagati a fine primavera 2026» e aggiunge «Gli studenti in questo periodo hanno una consapevolezza molto limitata di quella che è la macchina Università, di come funziona, di come è organizzata».
Quali potrebbero essere i possibili scenari futuri in seguito ai tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario?
« Questa è una domanda a cui non so rispondere. I miei sono contratti per corsi di insegnamenti ufficiali e gli insegnamenti ufficiali fanno parte del curriculum di un corso quindi vanno coperti in qualche modo e i dipartimenti per cui io lavoro non hanno delle persone,
delle figure in grado di coprire dei corsi di lingua a livello B1 e B2».
Potrebbero accadere, con i tagli alle spese di personale, che si creino più corsi disponibili su una piattaforma, senza nessuno o nessuna che dia una mano allo studente. E noto, parlando con gli studenti, che c’è veramente poca consapevolezza rispetto a queste cose».
L’assemblea precaria genovese e due protagonisti delle proteste
Martina Molinari, dottoranda presso il Dipartimento di Scienze Politiche Internazionali, afferma: «Sto seguendo le vicende dei recenti tagli all’Università con un’assemblea che si è costituita da ottobre sulla scia di altre assemblee che si sono costituite presso i maggiori atenei italiani.
La preoccupazione è nata a partire dai recenti tagli e una riforma sul preruolo. Dalla mia esperienza personale posso affermare che gli anni del dottorato sono sicuramente stati formativi e mi sono trovata bene. Il problema è che quando sono entrata io nel dottorato c’erano delle borse aggiuntive previste da progetti e da fondi straordinari. Le persone che entreranno nel dottorato a partire dall’anno prossimo saranno già meno. Questi fondi non sono più previsti».
Martina concluderà il suo dottorato a fine ottobre 2025 e vive già da adesso un forte senso di incertezza su quello che sarà il suo futuro.
«Non si sa cosa ci sarà dopo» e continua «Se prima c’erano delle opportunità come gli assegni di ricerca che erano contrattualizzati per uno o due anni, adesso anche gli assegni di ricerca sono stati rimossi».
Anche Luca Daminelli fa parte dell’assemblea precaria genovese. Lui, assegnista di ricerca al DISFOR, Dipartimento di Scienze della Formazione all’Università di Genova, aggiunge: «Per quel che riguarda l’Università di Genova questi tagli andranno a incidere, da quello che sappiamo dalle dichiarazioni avute dal Rettore dell’Università, già a partire da quest’anno: il budget dell’Università avrà 14milioni in meno di euro».
E aggiunge: «Parallelamente ai tagli la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha presentato un disegno di riforma delle figure preruolo, quindi tutte quelle figure che sono seguenti al dottorato di ricerca e che sono precedenti poi alla strutturazione del personale docente dell’Università. In questo momento dopo il dottorato si passa attraverso l’assegno di ricerca, che è la figura contrattuale nella quale sono inquadrato io, e dopo l’assegno di ricerca c’erano altre figure: il ricercatore a tempo determinato di tipo A e il ricercatore determinato di tipo B».
Chi sono i precari della ricerca
Cerchiamo di capire meglio queste diverse figure precarie della carriera universitaria e lo chiediamo ad Andrea Fabrizio Pirni, professore ordinario in Sociologia dei fenomeni politici e presidente del Centro strategico di Ateneo in Sicurezza, Rischio e Vulnerabilità.
«Non sono tutti precari nella ricerca. In alcuni casi vedo scritto che i dottorandi sono precari della ricerca. Attenzione, il dottorato di ricerca è un corso di formazione rivolto al trasferimento delle conoscenze e delle competenze per svolgere attività di ricerca, per svolgere e inserirsi all’interno di contesti specifici.
Mentre sono precari, eccome, gli assegnisti, che non ci saranno più, però sono esistiti ed esistono tutt’ora.
I ricercatori a tempo determinato di tipo A sono le figure più precarie in assoluto, mentre il ricercatore di tipo B quando acquisisce l’abilitazione scientifica disciplinare entra – deve entrare – nel ruolo di professore associato, che non è una figura precaria».
Le nuove regole sul preruolo
Luca Daminelli ci tiene a precisare che al di là dei tagli della legge di bilancio 2025 c’è un’altra legge «Procrastinata per due anni con decreti e svariate proroghe». Si riferisce al decreto-legge n. 36 del 30 aprile 2022 trasformato poi in legge il 29 giugno 2022 ed entrato in vigore il 1 gennaio 2025. «Siamo in questo paradosso» continua «per cui la riforma voluta dal governo precedente è entrata in vigore adesso, ma la nuova Ministra dell’Università ha deciso di fare una nuova riforma».
Da gennaio 2025, quindi, le Università non possono più reclutare altri “assegnisti”, ma devono stipulare dei contratti di ricerca. A tal proposito a inizio aprile sono usciti sulla Gazzetta Ufficiale i bandi per ricercatori a tempo determinato di alcune Università.
E come fa notare il prof. Andrea Fabrizio Pirni «il contratto di ricerca è un contratto di lavoro subordinato a tutti gli effetti, con molte garanzie in più rispetto all’assegno di ricerca».
Perché ci sono queste proteste in diversi Atenei?
«La protesta c’è» spiega il prof. Luca Raffini «perché siamo un’altra volta di fronte a un taglio ai finanziamenti che si aggiunge a una situazione che in realtà già non partiva benissimo e con un aggravante: veniamo da un periodo in cui abbiamo ricevuto dei fondi del PNRR che sono stati utilizzati dalle Università anche per reclutare dei ricercatori a tempo determinato.
Dei tagli nel periodo immediatamente successivo all’utilizzo di questi fondi crea un effetto per cui c’è un abbassamento del livello a fronte di un picco quasi anomalo. Per le persone che sono entrate nell’Università come ricercatori a tempo determinato si prospetta un ritorno alla precarietà».
Effetti dei tagli all’Università
«Le risorse economiche sono fondamentali nel sistema universitario» spiega il prof. Andrea Fabrizio Pirni specificando anche che comunque «non è l’aspetto di primaria importanza. Prima ancora di quello è il progetto. Cosa si fa con quelle risorse economiche, come si vogliono investire.
Abbiamo usufruito e ancora stiamo usufruendo di risorse mai acquisite dal sistema universitario, sono le risorse del PNRR, ingentissime e che, ovviamente, ad un certo punto terminano. Ecco, questo è il problema sistematico che abbiamo in Italia, cioè ci sono picchi di risorse e poi fasi di massima stagnazione. Questo è il fattore a mio avviso più rilevante che non consente a nessuno degli interlocutori che si occupano del sistema universitario di programmare nel medio o lungo periodo.
Ora ci sono in Italia circa 1500 ricercatori di tipo A finanziati con queste risorse che terminano. Già solo questo è un segnale della ragione per cui si protesta. Si generano risorse, in questo caso risorse umane di ricercatori e ricercatrici, che hanno una scadenza. E questo ovviamente preoccupa sia i diretti interessati e sia coloro che sono i coordinatori di queste ricerche, che vedono del potenziale, questo potenziale si costituisce e si consolida e poi non è possibile sostenere una continuità.
L’offerta formativa è un insieme che necessariamente è mobile nel tempo. Siamo in un’accelerazione costante nel nostro dinamismo e trasformazione sociale – e ritorno al tema delle risorse – noi possiamo ragionare su quello che è il nostro servizio al corpo studentesco se abbiamo delle risorse che hanno una loro stabilità nel tempo».
Mariangela De Marco