di Marta Pignaris.
Al giorno d’oggi le cosiddette fake news (notizie false) sono una problematica ormai nota e diffusa, alimentata dalla rapida e costante circolazione di informazioni attraverso social, piattaforme online e altri mezzi di comunicazione.
A questo si aggiunge la predisposizione delle persone a condividere notizie che si limitano a confermare quelle che erano loro convinzioni preesistenti e algoritmi che propongono spesso contenuti sensazionalistici o polarizzanti, favorendo lo sviluppo di filter bubbles, cioè ‘bolle informative’ nelle quali i vari utenti risultano esposti a prospettive e posizioni già simili alle proprie, rendendoli quindi meno inclini a confrontarsi con pareri discordanti.
Sebbene la condivisione di narrazioni false in certi casi possa provocare conseguenze relativamente innocue, in altri può avere impatti devastanti sulla percezione della realtà da parte del pubblico, andandone inesorabilmente a influenzare idee, scelte e opinioni.
Tuttavia, si potrebbe pensare che tale fenomeno di disinformazione sia una prerogativa della nostra società contemporanea: non è così.
Già ai tempi dei Romani, infatti, risulta possibile individuare processi simili a ciò che oggi potremmo ritenere fake news, nei quali una comunicazione scorretta o menzognera andò ad assumere rilevanza storica per le sue conseguenze.
Nell’antica Roma la comunicazione era intrinsecamente legata alla trasmissione orale.
L’assenza di giornali e, in generale, di mezzi di comunicazione di massa faceva sì che le notizie si propagassero prevalentemente a voce, attraverso l’esposizione di narrazioni e il passaparola tra cittadini.
Per questo risultava assai frequente la trasmissione di ‘rumor’, termine derivato proprio dal latino che significa ‘voce, pettegolezzo’.
Tale passaparola, basato su testimonianze dirette o indirette, aveva il potere di modellare l’opinione pubblica influenzando la percezione dei cittadini relativa a personaggi celebri oppure eventi e questo, in particolari situazioni, risultava determinante.
Ad esempio gli aedi, antichi poeti e cantastorie, avevano la responsabilità di tramandare i fatti con narrazioni e racconti epici, celebrando attraverso le loro parole le gesta di eroi e imperatori.
Non va trascurata la possibile influenza nelle loro espressioni a seconda di chi li remunerava, che spesso comportava descrizioni selettive e distorte degli eventi storici, andando così a costituire un’anticipazione delle moderne manipolazioni mediatiche.
I miti politici, infatti, erano costruiti soprattutto per enfatizzare le virtù dei leader e minimizzare il più possibile i loro errori, contribuendo quindi a crearne una visione idealizzata.
Un’altra modalità di trasmissione, considerabile come antesignana delle forme di comunicazione scritta, è quella delle tavole cerate.
Si trattava di tavolette di legno sulle quali venivano applicati diversi strati di cera, poi incisi con uno stilo, utilizzate soprattutto per documentazioni e comunicazioni di vario tipo.
La natura di per sé effimera di tali mezzi ne rendeva possibile una facile alterazione: la cera, infatti, poteva essere raschiata e poi ridepositata permettendo la cancellazione del testo, il riutilizzo della tavoletta oppure la modifica dell’informazione scritta a proprio vantaggio.
Quindi, anche in questo caso, la verità era spesso distorta o manipolata per ragioni politiche, sociali o personali.
Nell’ambito della politica romana la diffusione di fake news era pratica comune: screditare gli avversari politici attraverso la diffusione di voci false alimentava tensioni e lotte di potere, a volte strategicamente efficaci al conseguimento dei propri obbiettivi.
Gli oratori erano consapevoli del potere delle parole nel plasmare la percezione della realtà e attraverso discorsi eloquenti e retorica persuasiva cercavano di ottenere il consenso della popolazione e guadagnare il sostegno politico. Questa strategia dimostra quanto la disinformazione sia stata sempre parte integrante delle dinamiche di potere.
Risultava uno strumento efficace anche nel contesto bellico: i Romani, infatti, a volte diffondevano notizie false su loro presunti successi militari per minare la fiducia e il morale del nemico, al fine di sminuirne la resistenza.
Un evento rilevante per dimostrare quanto le precedenti considerazioni fossero ai tempi effettive è rappresentato dall’incendio di Roma, avvenuto nell’estate del 64 d.C. sotto il governo di Nerone.
Comportò una tragica distruzione di molte aree della città, al tempo composta in prevalenza da abitazioni costruite in legno e altri materiali altamente infiammabili, che favorirono quindi l’estensione e il protrarsi delle fiamme per vari giorni.
Diversi resoconti storici attribuiscono l’incendio a Nerone stesso, sostenendo che egli avesse voluto liberare spazio per costruire un grande complesso architettonico a suo nome e che, durante l’incendio, sia rimasto a osservare divertito il fuoco divampare dalla sua residenza.
Tuttavia, ciò è ampiamente contestato da altre fonti, che suggeriscono come invece vi siano stati vari sforzi da parte sua per contenerlo e aiutare i cittadini.
Secondo quanto riportato dalle opere degli storici Tacito e Svetonio, l’imperatore Nerone fu accusato anche di aver incolpato i cristiani per lo scoppio dell’incendio, per allontanare da sé ogni sospetto. In seguito alle sue affermazioni, i cristiani furono perseguitati crudelmente e sottoposti a indicibili tormenti.
Questo accanimento rappresenta, tra l’altro, uno degli episodi più antichi di persecuzione documentata contro i seguaci di tale fede.
Un altro esempio è ritrovabile nelle vicende che si generarono in seguito all’autoproclamazione di Giulio Cesare come dittatore a vita.
Tale mossa scatenò l’ira delle fazioni repubblicane, interpretandolo come un attacco alla libertà romana.
Fu così che un gruppo, capeggiato da Bruto, decise di ordire una congiura contro Cesare, che vide il suo apice nelle famose Idi di marzo. L’episodio però, invece che ristabilire un sistema repubblicano, provocò un ulteriore inasprimento della situazione e degenerò in una brutale lotta di potere tra i due sostenitori più importanti di Cesare: Marco Antonio, suo consigliere e fedele generale, e Ottaviano, suo figlio adottivo e per questo convinto che la successione spettasse a lui di diritto.
Ne conseguì una guerra di disinformazione senza precedenti, un’efferata diffusione di tweet ante litteram nella quale poesia e retorica risultarono armi fondamentali per affermare i rispettivi valori.
Ottaviano si dimostrò più abile: cercò in ogni modo di diffondere la notizia secondo la quale Marco Antonio fosse un soldato romano inaffidabile, un donnaiolo dedito all’alcol e sicuramente inadatto a guidare l’Impero, anche e soprattutto perché corrotto a causa della sua storia d’amore con Cleopatra, regina d’Egitto.
Ottaviano quindi fece leva sul malcontento della popolazione, causato dal sempre più evidente e dilagante declino dei valori tradizionali di fronte alla contaminazione culturale delle province.
I repubblicani finirono con lo schierarsi dalla sua parte, non tanto perché riponessero in lui una particolare fiducia, quanto piuttosto perché lo consideravano essere il male minore.
L'antica Roma ci offre quindi una prospettiva interessante sulla persistenza delle fake news nel corso della storia, dimostrando che la manipolazione dell'informazione non è un fenomeno nuovo.
Sebbene i mezzi di diffusione siano cambiati, rimane una propensione intrinseca all’animo umano nel distorcere la verità per ragioni personali o di potere.
Dunque, come si suol dire, historia magistra vitae: riconoscere le analogie con il passato può indubbiamente aiutare la collettività presente a sviluppare maggiore consapevolezza critica per difendersi e contrastare tale fenomeno, riflettendo sulla fragilità della verità e sulla necessità di una cittadinanza informata al fine di preservare una società libera e democratica.
Marta Pignaris
23/01/2024